dai Libri
Gli articoli che seguono sono stati tratti da libri, magari poco conosciuti ai
più, scritti, lo si capisce perfettamente, da persone che hanno amato le nostre
zone, che si sono rigorosamente documentati e che hanno saputo descrivere ciò
che loro suggeriva il cuore.
da
La Cronaca
Roberto Rossi
Spesso ignorata dalle principali guide turistiche e dai più rinomati itinerari
dei nostri Appennini Piacentini, la Val Boreca è tuttavia un piccolo gioiello
della natura, una tra le più belle aree del nostro territorio provinciale,
punteggiato da piccoli centri ancora cadenzati da ritmi di vita rurale. E’ una
piccola valle che si snoda sulla sinistra del Trebbia, dove il fiume raggiunge
le più alte quote, all’estremo lembo meridionale della provincia piacentina,
laddove si vengono a segnare i confini con la Liguria e il Piemonte. Il torrente
Boreca, che da il nome alla valle, nasce dal monte Carmo, che svetta a 1642 mt.
di altitudine. Una natura per molti tratti ancora selvaggia caratterizza questa
piccola graziosa valle che si estende protetta dalle più alte cime
dell’Appennino Ligure Piacentino, con il Lesima, il più alto con i suoi 1724
mt., il Chiappo (1700 mt.), l’Alfeo (1650 mt.), il Cavalmurone ( 1670 mt.). La
configurazione geografica di questo territorio, oltre a fornire protezione ai
villaggi prospicienti la Val Boreca, favorisce anche la formazione di un clima
mite, capace di determinare, in alcuni casi, la fioritura delle viole anche nel
periodo invernale. Un ambiente incontaminato fatto di boschi, pascoli e praterie
che ha rappresentato nei secoli una delle principali risorse di questi piccoli
villaggi, i quali trovavano nel ricco sottobosco funghi e mirtilli, fragole e
lamponi, genziana ed altre erbe medicamentose che, ancora oggi, formano insieme
ad una infinità di fiori montani, una variopinta e profumata distesa naturale.
Oggi la Val Boreca è meta preferita di appassionati delle escursioni e
passeggiate per il periodo estivo, mentre l’inverno è frequentata dagli amanti
dello sci, grazie agli impianti di risalita e alle piste di Capannette di Pey.
Il centro principale della valle è Zerba, che è anche il più piccolo comune
della provincia di Piacenza. Sorge al centro della vallata ed ospita il Torrione
Malaspiniano. Altri centri sono Cerreto, Samboneto e Pey.
Escursioni e passeggiate
Nel periodo estivo sono numerosi gli appassionati della montagna che raggiungono
la Val Boreca per l’opportunità di escursioni e passeggiate che offre, dalle più
facili ad altre leggermente più impegnative, che si arrampicano fin sulla vetta
del Monte Lesima. La in cima si colloca una grande croce di ferro e sgorgano
abbondanti, limpide e fresche acque di sorgente, delizioso e salutare ristoro.
Vi si giunge tramite piacevoli passeggiate lungo sentieri ben tracciati, non
impegnativi della durata di circa 2 ore con partenza da Zerba, Vezzimo, Pey,
Capannette di Pey. Giunti sulla cima agli occhi appare una visione meravigliosa,
che spazia su tutte le vette dell’Appennino Ligure Piacentino, sulle valli del
Trebbia, del Boreca, dello Staffora, del Borbera, con i romiti villaggi
biancheggianti sulle pendici. Nelle giornate limpide si possono distinguere le
sagome delle città situate alle propaggini della pianura padana. Anche il mare
ed un tratto di costa ligure si può facilmente scorgere lungo il sentiero che
sale da Capanne di Cosola, a 1700 mt., appena oltrepassato Capannette di pey.
Capannette di Pey
E’ il più elevato centro di villeggiatura e sport invernali della provincia di
Piacenza, dall’alto dei suoi 1470 mt., posto al confine con le province di
Alessandria e Pavia. Facilmente raggiungibile da Zerba, è denominata la
“Svizzera piacentina” per la bellezza del suo paesaggio incontaminato, dominante
tutta la Val Boreca. Belle passeggiate conducono sulle vette del Lesima, del
Chiappo, dell’Ebro,
dell’Alfeo, del Cavalmurone. Molto graziosa e caratteristica la chiesetta degli
alpini, Capannette offre piste ed impianti di risalita oltre ad opportunità di
ospitalità
e ristorazione.
Zerba
Principale centro della Val Boreca, sorge a 900 mt. di altitudine ed è il più
piccolo centro comunale del piacentino. Sebbene la sua storia racconta di una
dipendenza economica dalla Val Trebbia, Zerba nel 1221, in luogo alla divisione
effettuata dai Malaspina, venne separata dai complessi dei feudi posti sulla
riva destra del Trebbia per venire aggregata a quelli della vicina Val Staffora.
Verso la metà del ‘500 Zerba contava 23 fuochi, ed ogni fuoco corrispondeva ad
un nucleo familiare. Dopo un periodo sotto i Visconti di Milano, Zerba tornava
in possesso dei Malaspina per poi passare, nel 1743, al Piemonte insieme a
Bobbio. In seguito all’abolizione dei feudi ordinata da Napoleone, Zerba fu
aggregata ad Ottone. Del suo castello rimangono alcuni resti del Torrione
Malaspiniano che sorge su un poggio dove sono stati rinvenuti negli anni ’50
reperti archeologici di epoca preromana. Questa di Zerba era considerata tra le
fortezze più importanti della linea di difesa ligure che contava numerosi altri
manieri, dislocati nelle valli Trebbia e Aveto, a protezione delle incursioni
romane a sud. Ormai da circa un decennio Zerba sta dimostrando una certa
vitalità, che pone questo piccolo grazioso comune all’attenzione di un flusso
turistico sempre crescente.
Leggenda o realtà
Non è leggenda, bensì storia, quella che racconta di Annibale il quale, dopo
aver attraversato le Alpi, combattè e sconfisse i Romani nella nota battaglia
“del Trebbia”. Forse è più leggenda, ma forse no, quello che si racconta di
alcuni soldati di Annibale, disertori o feriti tali da non essere più utili al
combattimento, che avrebbero fondato alcuni dei paesi della valle. In effetti
alcuni nomi dei villaggi e paesi della Val Boreca e delle valli vicine, pare
richiamino il suono di città Cartaginesi; Zerba da Gerba, come l’isola di
Djerba, nel Golfo di
Gabes,
di frone alle rovine di Cartagine; e poi Tartago da Chartago, Cartagine; Bogli
da Bougie, ma anche il Monte Penice richiama il nome latino dei Cartaginesi:
“phoenices” ossia fenici. Ancora può essere considerato in questa analogia il
villaggio di Barchi, in Val Trebbia, da Barca che era il nome della famiglia di
Annibale, e per finire Carpeneto, altro piccolo centro della zona, da “Casa dei
Cartaginesi”
(car = casa o villaggio e phoenics = cartaginesi).
La Val Boreca la si incontra in località Valsigiara, poco dopo l'abitato di
Ottone, il paese di riferimento della zona.
Prima di un viadotto sul fiume, che sostituisce un ponte portato quasi via
dall'alluvione del 1985, si svolta a sinistra, seguendo l'indicazione Zerba.
La strada della val Boreca procede verso il capoluogo di Zerba zigzagando tra
gli alberi del bosco fino a che la vista si allarga, poco prima dell'abitato di
Cerreto, sui giganteschi contrafforti verdeggianti che si innalzano sul fianco
meridionale. L'imponente catena montuosa si erge, interamente ricoperta di
boschi, compatta come una immensa parete di alberi. A metà della linea di
crinale emerge la punta del Monte Alfeo, la vetta più alta, dove la neve, in
primavera, indugia più a lungo. Non una casa, non un segnale di vita
interrompono per un lungo tratto questa cortina quasi verticale di boschi, dove
si osservano soltanto i solchi incisi dai torrenti.
All'improvviso compare, come una sorprendente visione, l'abitato di Tartago,
aggrappato a un conoide che, liberato dal bosco, è stato sistemato a terrazze.
In questo piccolo triangolo di verde più chiaro si raggruppano le poche case del
paese. Il singolare spettacolo si ripete poi per i più lontani borghi di Belnome
e di Artana, che spiccano entrambi dal densosottofondo del bosco con le loro
casette intonacate e il bianco campanile della chiesa.
Proseguendo per Zerba e quindi per Vesimo, Pej e il passo Giovà la strada si
inoltra, restando sempre sulla sinistra idrografica del torrente, in un ambiente
assai diverso da quello selvaggio dell'altro versante, dominato dalla verde
dorsale dell'Alfeo: affioramenti di roccia giallastra, entro cui la strada
sembra essere stata ricavata letteralmente a colpi di scalpello, paesi ancora
abitati, viabilità agevole, rimboschimenti di giovani conifere. Infine, sui
terreni liberi dal bosco, le prime apparizioni di quei terrazzamenti, di sapore
così tipicamente ligure, che saranno una costante nel paesaggio della più alta
val Trebbia. Qui, nei giorni di festa e durante la bella stagione, è facile
imbattersi in escursionisti e in gruppi di cavalieri (e ciclisti ndr.). A
costoro, più che ai frettolosi cursori in automobile, riuscirà di apprezzarpieno
la grande bellezza di questa valle.
La val Boreca rappresenta, con i suoi cinquantun chilometri quadrati, il
sottobacino più esteso della val Trebbia, dopo quello, ovviamente, dell'Aveto
che resta incontrastato, l'affluente più importante.
L'interesse della valle, tuttavia, non risiede tanto in questo elemento
quantitativo, bensì nella spiccata qualità naturale del suo ambiente, fra i più
intatti di tutto l'Appennino. La presenza dell'uomo oggi si è ridotta a tal
punto che alcuni dei paesini della valle si possono definire del tutto
abbandonati. Altri restano presidiati solo da un pugno di abitanti per poi
ripopolarsi un poco nel periodo estivo con un modesto turismo costituito quasi
esclusivamente dal ritorno temporaneo dei discendenti degli antichi emigranti.
L'energia elettrica, dove c'è, è stata portata in valle solo da pochissimi anni
grazie agli elicotteri che dall'alto hanno calato i tralicci. La val Boreca è
infatti assai scoscesa e profonda, con profilo a "V" strettissimo, per nulla
addolcito dall'erosione glaciale di cui non si trova alcuna traccia. Il centro
principale - si fa per dire - è Zerba, che ha dignità di Comune, ed è dominato
dai resti di un castello.
Alcuni ritrovamenti archeologici testimoniano di una popolamento antichissimo
della zona. Si favoleggia anche di un sosta dell'esercito di Annibale in val
Boreca dopo la celebre battaglia del Trebbia contro i Romani nel 218 a C.. Ne
farebbero fede alcuni toponimi (la stessa Zerba, Artana, Tartago) che si
vogliono di ascendenza fenicia. Prove storiche del passaggio di Annibale
comunque non ve ne sono e non è neppure certo che il condottiero, dopo la
battaglia, per attraversare l'Appennino abbia risalito il Trebbia.
Come si è detto il pregio principale della val Boreca è il suo patrimonio
ambientale, con castagni e faggi d'alto fusto e boschi cedui anch'essi di
castagno e faggio, oltre che di rovere e di carpino. Vi si trovano pure boschi
di resinose di impianto artificiale (comuni anche nella contigua valle
dell'Avegnone) e ampie praterie dominate dalle cime del Monte Lesima a nord (la
vetta più alta di tutta la val Trebbia con i suoi 1724 metri s.l.m.), Chiappo e
Carmo a ovest e Alfeo a sud, tutti raggiungibili attraverso sentieri che in
parte salgono dal versante piacentino di Ottone e Zerba e in parte invece hanno
origine dal passo del Giovà, che rappresenta l'accesso della val Boreca dalla
parte pavese.
Di fronte al tracollo economico della valle, testimoniato dai numerosi paesi
letteralmente abbandonati, veri e propri fantasmi di un passato neppure troppo
lontano, l'unico patrimonio che può essere messo a frutto rimane la natura e il
paesaggio, che in val Boreca raggiungono una qualità così elevata da configurare
qui uno dei centri più interessanti di un auspicato futuro Parco della val
Trebbia. Come un tale parco possa anche divenire occasione di sviluppo è una
domanda ardua che ci condurrebbe a complesse riflessioni, da estendere del resto
a gran parte del nostro territorio montano. Ma che tale sviluppo in futuro non
possa prescindere dalla valorizzazione dell'ambiente è una sensazione sempre più
diffusa.
tratto da: UN ISOLA TRA I MONTI - Fabrizio Capecchi - Edizioni CROMA - 1990
LA VAL BORECA
Questo argomento lo si sarebbe potuto trattare nella parte riguardante la Val
Trebbia; il torrente Boreca è, infatti, suo affluente di sinistra. Ma, per il
singolare legame che ho stabilito con questo luogo, ad esso ho riservato e
ultime pagine di questo libro. Al termine di due anni di paziente lavoro,
ricordo con gioia la valle che ha registrato il mio primo incontro con questa
stupenda regione. Lì è nata l'idea di quest'opera;lì è scattata la passione che
sempre mi ha accompagnato nelle innumerevoli ricognizioni, durante le quali ho
raccolto il materiale ora qui riunito. Il paese di Pey è stato il mio costante
punto di appoggio.
Avevo sentito parlare, per la prima volta, della val Boreca, da un amico di
Asti, che vi si recava per la pesca delle trote. Dovetti ricorrere ad un
particolareggiato atlante stradale per localizzarla esattamente. In
quell'occasione notai il curioso intreccio di valli che si raccolgono intorno
allo spartiacque fra il Trebbia e lo Scrivia, per di più delimitate dai confini
di quattro province appartenenti a quattro regioni diverse. Una situazione,
certamente, singolare.
giornata; accade, quando ci si inoltra in un luogo sconosciuto, dove, al
desiderio di scoprirne l'aspetto si somma il timore di violarne i segreti. Una
sensazione accresciuta dalla cupa parete nord del M. Alfeo, che incombe
sulla strada, ripidissima e ricoperta da un folto bosco di faggi.
Poco più avanti, su di una propaggine del M. Alfeo, un piccolo pianoro fra gli
alberi ospita il paese di Tartago. In un primo tempo pensai che non era
possibile raggiungerlo in macchina; non mi ero accorto che la strada sterrata
attraversa il greto asciutto del torrente, per risalire, con numerosi
tornanti, l'opposto versante. La mancanza d'acqua in quel punto è dovuta al
fatto che, poco più a monte, sotto l'abitato di Zerba, il corso del Boreca è
imbrigliato da una diga, da cui partono le condotte che sbucano in val Trebbia,
vicino a Losso, dove si trova una piccola centrale elettrica.
Proseguii per Cerreto, Zerba, Vesimo, lungo una strada scavata nella roccia,
allora priva di parapetti. Il torrente era scomparso alla vista, e dovetti
fermare la macchina e sporgermi nella gola, per scorgerne piccoli tratti
biancheggiare fra i sassi. Vesimo, si dice, è il paese sul quale splende sempre
il sole; persino quando (un fenomeno strano, anche da me più volte constatato),
le cime intorno e gli altri paesi sono avvolti nella nebbia. Da Vesimo si gode
uno splendido scorcio sulla parte alta della val Boreca, nei suoi ultimi
sette chilometri, in cui il corso del torrente volge a Sud, fino alle
pendici del M. Carmo. Da Vesimo parte l'unica strada che attraversa il Boreca,
frequentemente minacciata dalla caduta di massi, lungo la quale si raggiunge,
sul versanteopposto, il paese di Belnome.
Dalla corona di monti si staccano ripidi crinali coperti di boschi, che si
intrecciano fra loro, costringendo il torrente a descrivere anse, a superare
anfratti rocciosi, a formare altre cascate e pozze d'acqua blu, profonde anche
diversi metri. Uno spettacolo che si può osservare solo risalendo il torrente.
E' quello che feci quella prima volta, da solo, con un pizzico d'incoscienza,
che mi spinse in un'avventura che ritenterei volentieri, ma in compagnia di un
amico. mi incoraggiò la passione che ho sempre avuto, fin da piccolo, per luoghi
come questi; ed il ricordo di "imprese" compiute altrove, con mio padre , quando
tutti gli anni, come meta di una giornata di pesca , si risaliva alle sorgenti
di un torrente, in val di Vara. Era sempre emozionante, dietro un'ultima svolta,
vedere scomparire il fiume in due buchi neri nella roccia, che sprofondavano nel
cuore della montagna.
Ma le sorgenti del Boreca erano irraggiungibili. L'ultimo tratto era una ripida
parete che lo scorrere dell'acqua aveva reso viscida e impraticabile. Abbandonai
la gola, inerpicandomi sulla sinistra nel bosco di faggi. Raggiunsi , con
fatica, la vetta del M. Carmo, da dove potei ammirare, per la prima volta, lo
stupendo panorama delle valli fra il Trebbia e lo Scrivia. Da lontano scorgevo
Vesimo, e la strada che scendeva al fiume nel punto in cui avevo lasciato la
macchina. Era impensabile ridiscendere lungo il torrente; erano già passate le
cinque del pomeriggio, e laggiù il buio sarebbe arrivato prima. Percorsi per un
tratto il crinale, fin quando trovai un sentiero che scendeva a mezza costa per
attraversare due paesi, che dal fondo della valle non avevo potuto scorgere. A
Bogli chiesi alcune indicazioni per proseguire il cammino. Più volte, per
l'approssimarsi della sera , perchè le forze cominciavano a venir meno e per la
paura di smarrirmi, pensai che non ce l'avrei fatta; forse sarebbe stato più
giudizioso chiedere ospitalità e pernottare lì, per proseguire l'indomani con la
luce del giorno e con rinnovate energie. Ma, con un ultimo sforzo, affrontai
l'ultima ora di discesa. Quando scorsi la macchina ero quasi commosso, perchè
tutto era finito bene, nonostante un po' di timore. Erano le dieci di sera, e
già avvertivo che dentro di me , in quel giorno, era nato qualcosa, e che
quell'avventura avrebbe lasciato un segno e non sarebbe stata isolata. Da allora
mi recai spesso nella "mia valle" e in quelle vicine, con la stessa passione di
quella prima volta. Ma questo libro, testimonianza del tempo trascorso lassù,
nacque proprio in quella lunga giornata di giugno.